Luglio 2004: Ecuador centro meridionale – Regione ad ovest di Guayaquil – Montanita
Arriviamo la mattina verso le ore otto nel piccolo villaggio di pescatori ancora addormentato. Incontriamo solo un gruppetto di giovani americani, in pantaloncini corti e infradito, dai capelli spettinati con un andatura barcollante dovuta probabilmente ai bagordi di una notte insonne.
Il clima non ci assiste (la stagione non è certo l’ideale per andare in Ecuador); siamo avvolti da una leggera nebbiolina che lascia una inequivocabile sensazione di bagnato sui nostri abiti rigorosamente estivi. La temperatura si aggira attorno ai 22° C.
Davanti a noi la strada principale che conduce direttamente alla fermata dove ci ha lasciato il pullman di linea per il mare. Data l’intensità delle onde del Pacifico ne riusciamo tranquillamente a sentire il fragore. Saranno appena 150 metri da percorrere a piedi, fra due file di casette, a due piani con bar, ristoranti e negozietti per turisti, che hanno preso il posto delle vecchie abitazioni dei pescatori. Naturalmente la strada non è asfaltata, ormai ci abbiamo fatto l’abitudine da queste parti.
L’Oceano Pacifico ci appare nella sua impetuosità appena superato un piccolo dosso artificiale. Il paradiso dei surfisti (così è conosciuto il villaggio in Ecuador) attira turisti da tutte le parti del mondo –soprattutto dal nord America – ma sembra che il momento migliore della giornata per “prendere le onde” sia il primo pomeriggio. Ora dormono ancora tutti e le onde, sebbene grandi, non ci sembrano molto adatte a lunghe cavalcate. Meglio così, pensiamo noi, con la spiaggia libera potremo dedicarci tranquillamemnte alle nostre ricerche. Anzi ci rendiamo conto che il mare stesso si è ritirato di qualche metro, con la bassa marea, lasciandoci una piacevole sorpresa: le onde si infrangono sulla spiaggia, continuano la loro corsa giungendo a lambire i nostri piedi e, tornando indietro, lasciano scoperte migliaia di piccole conchiglie che, rapidamente si infossano sotto la sabbia, fine e scura, che si estende per qualche centinaio di metri verso nord. Che colpo di fortuna! Non potevamo sperare di meglio! Sull’onda dell’entusiasmo raccogliamo alcuni esemplari per capire con precisione di cosa si tratti. Ci sono alcune specie di Olive: l’
Oliva undatella Lamarck, 1810 e l’
Olivella columellaris (Sowerby, 1825) ma restiamo maggiormente colpiti da un’altra conchiglia. All’inizio, con grande meraviglia, crediamo di esserci imbattuti in una strana Terebra ma ... dopo ricerche più approfondite ci rendiamo conto che si tratta di una
Columbella, la
Mazatlania fulgurata descritta per la prima volta da Philippi nel 1846 e localizzata tra Mazatlan, in Messico, e il Nicaragua. Noi ci troviamo in Ecuador, ben più a sud, quindi, questa columbella si trova su un’area più estesa. Per quanto riguarda il nostro primo errore di classificazione non siamo stati i primi a compierlo, tant’è vero che Gould nel 1853 la chiamò
Terebra arguta. Un altro sininimo conosciuto è stato dato da Autori sconosciuti ed è un probabile errore di spelling:
Eurita fulgurans.
Due particolari ci colpiscono immediatamente: la colorazione estremamente variabile, come si può vedere dalla foto di pag. 093 (almeno sedici gradazioni di colore diverso), e delle pustule gelatinose attaccate su molte conchiglie da noi raccolte. Con uno studio più approfondito abbiamo scoperto trattarsi di capsule ovigere, ben evidenziate nella foto sottostante anche se non più fresche, che l’animale fissa sul proprio guscio aumentando fortemente le probabilità di sopravvivenza dei veliger. Questo rende la specie molto prolifica e adatta a riprodursi con molta facilità e in grandi quantità.